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  • Immagine del redattorePsicologa Chiara Zanchi

Il coraggio di A.

A. è un ragazzo autistico di 10 anni. Frequenta l'ultimo anno di una scuola elementare della provincia di Bergamo. Ad A. danno fastidio i rumori forti, le sedie che sfregano sul pavimento, la compagna che mette in bocca la penna, avere il banco attaccato a quello dei compagni. I cibi verdi, essere interrotto bruscamente, sentirsi non ascoltato. Per lui la giornata a scuola è più faticosa degli altri. Non sempre le maestre della sua sezione riescono a garantirgli uno spazio idoneo e confortevole per lui. Non è semplice in una classe di 25 alunni. Quando A. si innervosisce, esce dall'aula, quasi sempre senza avvisare, e si nasconde nell'aula vuota che trova a fianco. A volte piange, altre si percuote il volto. In questi giorni i genitori hanno fatto presente che non sono d'accordo con il fatto che il loro figlio non sia vicino agli altri. Purtroppo però è proprio A. che non vuole affiancare ed essere affiancato. Non è stata una scelta delle maestre o dei compagni.

Le maestre mi chiedono di fare qualcosa per questa situazione, perché si sentono bloccate tra il desiderio inclusivo dei genitori e l'apparente desiderio esclusivo di A. Decido quindi di chiedere al ragazzo di descrivere o disegnare su un foglio come vorrebbe disposta la sua classe. Lascio totalmente carta bianca a lui, consapevole di correre un rischio: una volta ideata, A. avrebbe voluto che il suo sogno si realizzasse. Ma avevo deciso di fidarmi di lui, della sua acuta intelligenza. A. ha disegnato l'aula in maniera molto semplice, disponendo i banchi in verticale piuttosto che in orizzontale, proponendo che lo sguardo dei ragazzi fosse rivolto alla finestra e tenendo separati i banchi di qualche cm tra loro. Il foglio è stato poi consegnato alle maestre, con tanto di spiegazione concitata di A. e firma finale. Il corpo docenti ha accettato di buon grado l'idea proposta dal loro alunno. Cosa c'è di diverso dal classico paradigma? La soluzione è stata proposta direttamente da chi sta vivendo una situazione di disagio, non dall'adulto o da chi in quel contesto ha più "potere", dando fiducia alle risorse di colui che il contesto lo subisce. Permettere ad A. di scrivere ed immaginare la classe che desiderava l'ha fatto sentire degno di ascolto e di considerazione. Ha innescato un cambiamento nei suoi comportamenti, spesso rigidi, il che ha avuto reazioni positive a catena nel gruppo classe. L'atteggiamento di apertura da parte delle maestre ha reso concreto tutto ciò. Il lavoro dello psicologo è spesso questo: tenere in considerazione i bisogni di più attori coinvolti - spesso contrapposti- cercare una soluzione che possa essere accolta da tutti ed innescare così cambiamenti evolutivi e contestuali.


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